Ad avviso della Suprema Corte – sentenza 46649 depositata il sette novembre – “la valutazione del Tribunale è coerente ed aderente alle evidenziate risultanze probatorie” dato che i pazienti “hanno descritto le loro condizioni di salute, le vicissitudini affrontate, il contesto, le modalità ed i sistemi con cui venivano formulate” dal primario “le richieste di danaro, la cui natura indebita è ricavabile in primo luogo dalla circostanza che gli interventi venivano eseguiti in regime di ricovero ordinario e non intramoenia, non essendo peraltro l’indagato autorizzato in tal senso”. “In secondo luogo – prosegue il verdetto – dalla circostanza che ai pazienti veniva prospettata l’assoluta necessità ed urgenza dell’intervento, ma, al contempo, la necessità di attendere i tempi lunghi delle liste di attesa, ponendoli così di fronte all’alternativa di pagare per non attendere ed essere operati ‘privatamente’; di essere dimessi, in quanto già ricoverati, o pagare la somma richiesta; di pagare per anticipare l’intervento”.